LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                           Sezione lavoro 
 
    Composta dagli Ill.mi signori magistrati: 
        dott. Antonio Manna - Presidente; 
        dott. Enrica D'Antonio - consigliere; 
        dott. Umberto Berrino - consigliere; 
        dott. Giulio Fernandes - Rel. consigliere; 
        dott. Rossana Mancino - consigliere, 
ha pronunciato  la  seguente  ordinanza  interlocutoria  sul  ricorso
5064-2018 proposto da: 
        I.N.P.S. - Istituto nazionale della  previdenza  sociale,  in
persona  del  Presidente  e  legale   rappresentante   pro   tempore,
elettivamente domiciliato in Roma, via Cesare Beccaria n. 29,  presso
l'Avvocatura centrale dell'istituto,  rappresentato  e  difeso  dagli
avvocati  Antonietta  Coretti,  Vincenzo  Triolo,  Vincenzo   Stumpo;
ricorrente; 
    Contro H. V. R. I., elettivamente domiciliata in Roma,  via  Agri
n.  1,  presso  lo  studio  dell'avvocato  Massimo  Nappi,   che   la
rappresenta  e  difende  unitamente  all'avvocato  Alberto   Guariso;
controricorrente; 
    Avverso la sentenza n. 1222/2017 della Corte d'appello di Milano,
depositata il 3 agosto 2017 R.G.N. 1909/2016; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
2 aprile 2019 dal consigliere dott. Giulio Fernandes; 
    Udito il pubblico ministero in persona del sostituto  procuratore
generale dott. Stefano Visona' che  concluso  per  il  rigetto  e  in
subordine rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea; 
    Udito l'avvocato Antonietta Coretti; 
    Udito l'avvocato Alberto Guariso. 
 
                          Rilevato in fatto 
 
    1. La Corte d'appello di Milano, con sentenza del 3 agosto  2017,
confermava l'ordinanza  emessa  Tribunale  in  sede  in  funzione  di
giudice del lavoro - nell'ambito del procedimento di cui al combinato
disposto degli articoli 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011,
n. 150 e 702-bis, codice di procedura civile - che,  in  accoglimento
del ricorso proposto da R. I. H. V. nei  confronti  dell'INPS,  aveva
dichiarato  il  carattere  discriminatorio  della   condotta   tenuta
dall'istituto  -  che  aveva  negato  il  diritto  della   ricorrente
all'assegno di natalita' ex art. 11 comma 25, della legge  23  maggio
2014, n. 190 per mancanza del requisito del possesso di  un  permesso
di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo - condannandolo  al
pagamento della somma di euro 1.760,00 come maturata fino al deposito
del ricorso nonche' delle ulteriori quote  mensili,  oltre  accessori
come per legge. 
    2. Ad avviso della  Corte  territoriale,  per  quello  ancora  di
rilievo in questa sede, la  discriminazione  lamentata  dalla  H.  V.
risultava sussistente in quanto: la prestazione rientrava nell'ambito
della «sicurezza sociale» essendo diretta a  tutelare  economicamente
la  maternita'  e  la  paternita',  in  modo  continuativo  fino   al
compimento dei tre anni di eta' del bambino, ed  essendo  corrisposta
in modo automatico  e  non  discrezionale;  doveva,  quindi,  trovare
applicazione il disposto dell'art. 12 della direttiva  n.  2011/98/UE
secondo cui «i lavoratori di cui al paragrafo  1,  lettere  b)  e  c)
beneficiano dello stesso trattamento  riservato  ai  cittadini  dello
Stato membro in cui soggiornano  per  quanto  concerne:  [...]  c)  i
settori della sicurezza sociale come definiti dal regolamento  CE  n.
883/2004»; trattandosi di direttiva «self executing» era di immediata
applicazione entrando direttamente nell'ordinamento  nazionale  senza
necessita'  di  alcuna  norma  di   recepimento   ragion   per   cui,
collocandosi nella gerarchia delle fonti in  posizione  sovraordinata
rispetto   alla   legislazione   nazionale,    ne    comportava    la
disapplicazione  in   caso   di   contrasto   con   la   disposizione
eurounitaria; pertanto, l'art. 1, comma 125, della legge n.  190/2014
nella  parte  in  cui  subordinava  la  concessione  dell'assegno  di
natalita' al possesso del permesso di soggiorno CE  per  soggiornanti
di lungo periodo era da disapplicare perche' in contrasto con  l'art.
12 della direttiva UE 98/2011. 
    3. Per La Cassazione di tale  decisione  propone  ricorso  I'INPS
affidato ad un unico motivo cui resiste con controricorso la  H.  V.;
entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 del codice  di
procedura civile. 
    4. Con  l'unico  articolato  motivo  di  ricorso,  I'Inps  deduce
violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli
1, commi da 125 a 129, legge n. 190 del 2014 e connesso  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2015,  articoli
4-bis, comma 1-bis, 5, commi 8.1. e 8.2., 9, dodicesimo comma lettera
c); articoli 43 e 44 decreto legislativo n. 286 del  1998,  anche  in
relazione all'art. 12 delle disposizioni  sulla  legge  in  generale,
all'art. 12 della  direttiva  2011/98/UE,  recepita  con  il  decreto
legislativo n. 40 del 2014  ed  all'art.  3  del  regolamento  CE  n.
883/2004, per avere la sentenza  impugnata  riconosciuto  il  diritto
della controparte, cittadina extracomunitaria titolare di permesso di
soggiorno per motivi di lavoro e quindi priva del permesso  di  lungo
soggiorno, a percepire le somme richieste a  titolo  di  assegno  di'
natalita' previsto dall'art. 1, commi da 125 a 129, legge n. 190  del
2014  in  favore  dei  cittadini  italiani  o  di  uno  Stato  membro
dell'Unione europea o di cittadini extracomunitari  con  permesso  di
soggiorno di lungo periodo - in  possesso  del  requisito  reddituale
previsto non superiore ai 25.000 euro annui con maggiorazione in caso
di reddito annuo non superiore a 7.000 euro -  pur  in  assenza,  nel
disposto normativa indicato, di una previsione specifica e  definendo
discriminatoria la condotta dell'INPS. 
    5. Ad avviso del ricorrente, dall'impianto  normativa  istitutivo
della prestazione  rivendicata,  e  segnatamente  dal  meccanismo  di
monitoraggio della spesa in relazione  al  numero  delle  domande  in
concreto  presentate  con  possibilita'  per  l'INPS  di  sospensione
dell'acquisizione delle domande in attesa  del  decreto  ministeriale
previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27
febbraio 2015, art.  6,  comma  2,  si  evincono  sia  la  natura  di
«premio»,  diretto  ad  incentivare  la  natalita'  nell'ambito   del
territorio nazionale a causa della notoria  flessione  delle  nascite
sia l'estraneita' di tale misura rispetto al sistema delle tutele  di
sicurezza sociale richiamate dal regolamento CEE n. 883/2004; in  tal
senso  il  ricorrente   richiama   quanto   affermato   dalla   Corte
costituzionale con la sentenza n. 141 del 2014 a  proposito  del  cd.
bonus bebe' previsto con legge della Regione Campania n. 4,  art.  1,
comma  78,  del  2011,  disposizione   considerata   giustificata   e
razionale, come pure in casi analoghi era  avvenuto  da  parte  delle
sentenze della Corte costituzionale nn. 222, 178, 4 e 2 del 2013. Gli
inderogabili  doveri  di  solidarieta'  di  cui  all'art.   2   della
Costituzione e le  misure  di  protezione  della  maternita'  di  cui
all'art. 31, secondo comma, della Costituzione  sono  realizzati,  ad
avviso  dell'istituto  ricorrente,   dalla   disposizione   contenuta
nell'art. 35, comma terzo, decreto legislativo n. 286 del  1998,  la'
dove e' prevista per tutti gli stranieri, ancorche' non  iscritti  al
Servizio sanitario nazionale, la  tutela  della  gravidanza  e  della
maternita' a parita' di trattamento con le cittadine  italiane  e  la
tutela della salute del minore. 
    Peraltro, come riconosciuto da Corte costituzionale  n.  222  del
2013,  il  radicamento  nel  territorio  nazionale  derivante   dalla
titolarita' del permesso di lungo  soggiorno  e'  elemento  valido  a
giustificare il riconoscimento di prestazioni sociali solo a coloro i
quali hanno conseguito tale permesso a fronte della limitatezza delle
risorse  economiche  disponibili  e  della  discrezionalita'  che  va
riconosciuta al legislatore ove non si versi in  misure  appartenenti
ai  livelli  essenziali   di   assistenza.   In   ragione   di   tali
considerazioni,   dunque,   la    disposizione    denunciata    quale
discriminatoria e', per l'INPS, misura del tutto estranea  all'ambito
della sicurezza sociale oggetto della previsione contenuta  nell'art.
12 della direttiva UE 2011/98 e, quindi all'oggetto del diritto  alla
parita'  di  trattamento  ivi  previsto,  e  conforme   ai   principi
costituzionali di cui agli articoli 2, 3, 31 e 38 della Costituzione. 
    6. Infine, l'Istituto  evidenzia  che  la  propria  tesi  non  e'
contraddetta dalla sentenza della Corte di giustizia  del  21  giugno
2017 C- 449/2016 in quanto l'assegno di natalita' di cui  alla  legge
n. 190 del 2014 e' destinato ad  incentivare  le  nascite  e  rientra
nella previsione dell'art. 70 del  citato  regolamento  quale  misura
retta dalla fiscalita' generale, a  differenza  dell'assegno  per  il
nucleo familiare erogato dai comuni di cui all'art. 65 della legge n.
448 del 1998, che e' un contributo pubblico  destinato  ad  alleviare
gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli. 
    7. La controricorrente eccepisce l'inammissibilita'  del  ricorso
ai sensi dell'art. 366 del codice di procedura civile  per  l'assenza
di relazione tra la regola giuridica applicata dal giudice di  merito
e  la  regola  ritenuta  corretta,  con   l'ulteriore   elemento   di
genericita' costituito dall'aver affermato  in  modo  apodittico  che
l'assegno di natalita' in oggetto non  e'  prestazione  di  sicurezza
sociale, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza  impugnata.
In ogni caso ribadisce l'infondatezza delle affermazioni  sottese  al
motivo di ricorso, in quanto il diritto a non  subire  disparita'  di
trattamento, fondato sull'art. 12 della direttiva UE 2011/98,  deriva
dalla  inclusione  della  sua  posizione  di  cittadina  titolare  di
permesso di soggiorno che consente di lavorare - paragrafo 1, lettera
b) e c) della  citata  direttiva  2011/98  -  e  dalla  natura  della
prestazione rivendicata, che  rientra  nel  settore  della  sicurezza
sociale definito dal regolamento n.  883  del  2004,  art.  3,  primo
comma, lettera b) «prestazioni di maternita' e paternita' assimilate»
e lettera j) «prestazioni familiari», in quanto diretta a tutelare la
maternita' e la paternita' ed ad alleviare gli oneri familiari,  come
peraltro ribadito nella giurisprudenza europea (CGUE 16  luglio  1992
in C. 78/91; CGUE 5 marzo 1998 in C-160/1996;  CGUE  14  giugno  2016
C-308/2014; CGUE C- 21 giugno 2017 C-449/16). 
    8. Quanto, poi, al profilo relativo al vincolo di  spesa  annuale
imposto  all'Istituto  attraverso  il   monitoraggio   dell'andamento
dell'uscita  di  cassa,  la   controricorrente   osserva   che   tale
meccanismo, oltre a non poter evitare la necessaria applicazione  del
diritto euro-unitario, in concreto,  data  la  scadenza  del  termine
originariamente previsto per la fruizione del beneficio (31  dicembre
2017), e' semmai prova del fatto che il  riconoscimento  del  diritto
anche ai titolari  del  permesso  di  soggiorno  per  lavoro  non  ha
comportato alcuna conseguenza sul piano della  copertura  finanziaria
prevista. 
    9. Infine,  la  controricorrente  segnala  la  natura  del  tutto
apodittica dell'affermazione  dell'INPS  relativa  alla  contrarieta'
alla finalita' di incentivo alla natalita' del trattamento  richiesto
con una presenza solo temporanea dei titolari di permesso di unico di
lavoro, in quanto nulla in concreto puo' collegare  il  possesso  del
permesso unico di  soggiorno  alla  presunzione  di  permanenza  solo
temporanea sul territorio nazionale, soprattutto considerando che  il
permesso di lungo periodo di cui all'art. 9  decreto  legislativo  n.
286 del 1998 e' subordinato, oltre che alla residenza  effettiva  per
almeno cinque anni, anche al raggiungimento di un reddito  minimo  ed
alla fruizione di un alloggio idoneo e che la  direttiva  UE  2011/98
non ha scelto questo criterio  per  selezionare  i  soggetti  cui  va
assicurata la parita' di trattamento in materia di sicurezza sociale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Ritiene il Collegio, dovendosi escludere che  il  ricorso  sia
inammissibile per difetto di specificita' del motivo in ragione della
piena idoneita' dei  vizi  di  violazione  di  legge  prospettati  ad
incrinare  la  ricostruzione   giuridica   seguita   dalla   sentenza
impugnata, che la questione  prospettata  importi  innanzi  tutto  la
necessita' di verificare la legittimita' costituzionale dell'art.  1,
comma 125, legge n. 190 del 2014, in relazione agli articoli 3  della
Costituzione, 31 Cost. e 117,  primo  comma,  Cost.  quest'ultimo  in
relazione agli articoli 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. 
    2. Il testo dell'art.  1,  comma  125,  legge  n.  190  del  2014
prevede: «Al fine di incentivare  la  natalita'  e  contribuire  alle
spese per il suo sostegno, per ogni figlio nato o adottato tra il  1°
gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017  e'  riconosciuto  un  assegno  di
importo pari a 960 euro annui erogato  mensilmente  a  decorrere  dal
mese  di  nascita  o  adozione.  L'assegno,  che  non  concorre  alla
formazione del reddito complessivo di cui all'art. 8 del testo  unico
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22  dicembre  1986,
n. 917, e successive modificazioni, e' corrisposto fino al compimento
del terzo anno di eta' ovvero del terzo anno di ingresso  nel  nucleo
familiare a seguito dell'adozione, per i figli di cittadini  italiani
o di uno Stato membro dell'Unione europea o  di  cittadini  di  Stati
extracomunitari con permesso di soggiorno di cui all'art. 9 del testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina  dell'immigrazione
e  norme  sulla  condizione  dello  straniero,  di  cui  al   decreto
legislativo 25 luglio  1998,  n.  286,  e  successive  modificazioni,
residenti in Italia  e  a  condizione  che  il  nucleo  familiare  di
appartenenza del genitore richiedente l'assegno sia in una condizione
economica corrispondente a un valore dell'indicatore della situazione
economica equivalente (ISEE), stabilito ai sensi del  regolamento  di
cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  5  dicembre
2013, n. 159, non superiore a 25.000 euro annui. L'assegno di cui  al
presente comma e' corrisposto, a  domanda,  dall'INPS,  che  provvede
alle relative attivita', nonche' a  quelle  del  comma  127,  con  le
risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili  a  legislazione
vigente. Qualora il nucleo familiare  di  appartenenza  del  genitore
richiedente l'assegno sia in una condizione economica  corrispondente
a un valore dell'ISEE, stabilito ai sensi del citato  regolamento  di
cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  159  del
2013, non superiore a 7.000 euro annui, l'importo dell'assegno di cui
al primo periodo del presente comma e' raddoppiato». 
    3. Rilevanza della questione di  costituzionalita'.  Il  presente
giudizio e' stato introdotto dall'attuale controricorrente  ai  sensi
dell'art. 44 decreto legislativo n.  286  del  1998,  denunciando  la
natura  oggettivamente  discriminatoria  della  negazione,  da  parte
dell'INPS, dell'assegno di natalita' di  cui  sopra  in  ragione  del
possesso del permesso unico di lavoro anziche'  di  quello  di  lungo
soggiorno  ex  art.  9  decreto  legislativo  n.  286  del  1998.  In
particolare, e' stato fatto valere il  diritto  a  beneficiare  dello
stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato italiano in cui
soggiornano per quanto  concerne  l'erogazione  dell'assegno  di  cui
all'art. 1, commi 125-129, legge n. 190 del 2014, in applicazione del
disposto dell'art. 121 paragrafo 1  lettera  e)  della  direttiva  UE
2011/981 con richiesta di non applicazione del disposto  della  norma
il cui testo, invece, li esclude, ritenendola  incompatibile  con  il
diritto europeo. 
    4. E' evidente che il chiaro tenore testuale dell'art.  1,  comma
125, legge n. 190 del 2014 dimostra che il carattere  in  se'  lesivo
del diritto a non subire disparita' di trattamento e'  da  verificare
innanzi tutto nella previsione di legge che ha  introdotto  l'assegno
di natalita', selezionando i  beneficiari  in  ragione  di  requisiti
diversi a seconda della nazionalita', essendo la  condotta  dell'INPS
solamente applicativa di tale disposto. 
    5. Inoltre,  avendo  la  H.  V.  chiesto  la  condanna  dell'INPS
all'erogazione dell'assegno di natalita' quale concreta misura idonea
ad eliminare gli effetti della discriminazione ed avendo, in sede  di
legittimita', il ricorrente denunciato vizio di violazione  di  legge
incentrato  sulla   affermata   erronea   interpretazione   di   tale
disposizione in relazione alle previsioni della direttiva UE 2011/98,
la concreta rilevanza della questione di legittimita'  costituzionale
che la involge e' evidente, non potendo la Corte di cassazione fare a
meno di vagliare l'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014  al  fine
di risolvere la questione oggetto di giudizio. 
    6. Non vi  e'  dubbio,  inoltre,  che  qualora  si  dovesse  fare
applicazione della  disposizione  appena  citata,  la  domanda  della
cittadina extracomunitaria sarebbe rigettata perche' e' pacifico che,
pur essendo presenti gli ulteriori presupposti  richiesti,  l'odierna
controricorrente non e' titolare del permesso di lungo  soggiorno  ex
art.  9  decreto  legislativo  n.  286  del  1998.  Precisamente,  e'
soggiornante in Italia  dal  2007  e  titolare,  allo  stato,  di  un
permesso  per  lavoro  subordinato.   Ne'   l'inequivocabile   tenore
letterale dell'art. 1, comma 125, legge n. 190 del 2014 - che  per  i
cittadini  extracomunitari  espressamente   condiziona   il   diritto
all'assegno de quo, fra gli altri requisiti, al permesso di soggiorno
di cui all'art. 9 del decreto  legislativo  n.  286  del  1998  -  e'
suscettibile   di    estensione    in    via    di    interpretazione
costituzionalmente conforme (donde  la  necessita'  di  investire  il
giudice delle leggi). 
    7. Detta rilevanza, peraltro, non e' impedita dalla pur  concreta
possibilita'  di  procedere  alla  disamina  del  motivo  di  ricorso
privilegiando la finalita', perseguita dai giudici di merito, diretta
esclusivamente alla verifica di compatibilita' della norma denunciata
con la  previsione  dell'art.  12,  paragrafo  1  lettera  e),  della
direttiva UE 2011/98, che impone la parita' di trattamento in  favore
dei «lavoratori dei paesi  terzi  di  cui  all'art.  3  paragrafo  1,
lettera b) e c)» e che,  ove  l'incompatibilita'  si  evidenzi  anche
previo ricorso pregiudiziale alla CGUE, conduce  all'inapplicabilita'
alla fattispecie in esame del disposto dell'art. 1, comma 125,  legge
n. 190 del 2014 in ragione del principio di  prevalenza  del  diritto
euro-unitario sul diritto nazionale. 
    8.  Va  infatti  osservato  che  l'interpretazione  della  citata
disposizione, sollecitata, ancor prima che dal motivo di ricorso  per
cassazione, dalla stessa denuncia degli effetti discriminatori insiti
nella disposizione formulata dalla ricorrente in primo grado, importa
fa  necessaria  disamina  della  conformita'  a  Costituzione   della
disposizione in esame che richiama, testualmente,  l'art.  9  decreto
legislativo n. 286 del 1998  e,  quindi,  il  sistema  normativa  che
disciplina fa  materia  dei  permessi  di  soggiorno  e  dei  diritti
riguardanti i cittadini stranieri delineato dal  citato  testo  unico
che, attraverso le modifiche apportate dai due articoli  del  decreto
legislativo n. 40 del 2014, ha pure recepito la direttiva UE 2011/98. 
    9. Nel caso di specie,  ritiene  il  Collegio  che  il  peculiare
meccanismo di funzionamento della non applicazione della disposizione
contenuta nell'art. 1, comma 125, legge n. 190 del  2014,  ovviamente
limitato all'inciso che richiede per cittadini extra comunitari anche
il possesso di permesso di  lungo  soggiorno,  non  possa  realizzare
effetti   analoghi   a   quelli   derivanti   dalla   pronuncia    di
incostituzionalita' per violazione degli  articoli  agli  articoli  3
della Costituzione, 31 della Costituzione e 117, primo  comma,  Cost.
quest'ultimo in relazione agli articoli 20, 21, 24,  31  e  34  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE). 
    10.  Solo  in  sede  di  giudizio  costituzionale  e'  possibile,
infatti,  valutare  la  ragionevolezza  della  scelta   discrezionale
legislativa, frutto di bilanciamento  dei  contrapposti  interessi  e
considerare, come si dira' piu' approfonditamente in sede di giudizio
di non manifesta infondatezza, gli  indici  normativi  che  avrebbero
dovuto condurre il legislatore a  riconoscere  quale  unico  criterio
selettivo giustificato e  ragionevole  il  possesso  della  carta  di
soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non  inferiore  ad  un
anno, previsto dall'art. 41 decreto legislativo n. 286 del 1998 quale
espressione di un principio  generale,  al  fine  di  riconoscere  ai
titolari la piena equiparazione ai cittadini italiani ai  fini  della
fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di
assistenza sociale. 
    11. Ad avviso del Collegio, per tali ragioni  legate  ai  diversi
effetti  che  potrebbero  derivare  dalla   pronuncia   della   Corte
costituzionale rispetto al sistema  al  cui  interno  si  colloca  la
disposizione    sospettata    di    illegittimita'    costituzionale,
l'applicabilita' alla fattispecie  della  direttiva  UE  2011/98  non
determina l 'irrilevanza della questione di  costituzionalita'  e  la
stessa va subito sollevata. 
    12. Cio' e' in sintonia con quanto affermato dalla  piu'  recente
giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale n. 63 del  2019),
secondo la quale «[...] ove il giudice a quo ha inteso  formulare  in
termini chiari e definitivi  le  questioni  sottoposte  all'esame  di
questa Corte, occorre in questa sede  ribadire  -  sulla  scorta  dei
principi gia' affermati nelle sentenze n. 269 del 2017 e  n.  20  del
2019 - che a questa Corte non puo'  ritenersi  precluso  l'esame  nel
merito delle questioni di legittimita' costituzionale  sollevate  con
riferimento sia a parametri interni, anche  mediati  dalla  normativa
interposta convenzionale, sia - per il tramite degli  articoli  11  e
117, primo comma, della  Costituzione  -  alle  norme  corrispondenti
della Carta che tutelano, nella sostanza, i medesimi diritti; e  cio'
fermo restando il potere del giudice comune di procedere egli  stesso
al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia  UE,  anche  dopo  il
giudizio incidentale di legittimita' costituzionale, e - ricorrendone
i  presupposti  -  di  non  applicare,  nella  fattispecie   concreta
sottoposta al suo esame, la disposizione nazionale in contrasto con i
diritti sanciti dalla Carta [...]. Laddove pero' sia stato lo  stesso
giudice  comune   a   sollevare   una   questione   di   legittimita'
costituzionale che coinvolga anche le norme della Carta, questa Corte
non potra' esimersi, eventualmente previo rinvio  pregiudiziale  alla
Corte di giustizia UE, dal fornire una risposta a tale questione  con
gli strumenti che le sono propri: strumenti tra i quali  si  annovera
anche  la  dichiarazione  di  illegittimita'   costituzionale   della
disposizione ritenuta in contrasto con la Carta (e pertanto  con  gli
articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione), con  conseguente
eliminazione  dall'ordinamento,  con  effetti  erga  omnes,  di  tale
disposizione». 
    13. Non manifesta infondatezza. L'art. 1, comma 125, legge n. 190
del 2014, riferito ai nuovi nati o adottati tra il primo gennaio 2015
ed il 31 dicembre 2017, e' una  misura  che  concorre  a  formare  il
sistema dei sostegni sociali alla genitorialita'. 
    14. Il beneficio consiste nell'erogazione di un assegno, da parte
dell'Inps, nell'arco dei primi tre anni di vita  per  ciascun  figlio
nato o adottato da genitori residenti sul  territorio  nazionale  che
abbiano redditi non superiori ad euro 25.000 secondo  gli  indicatori
ISEE. Laddove, pero', i genitori siano cittadini extra comunitari, si
richiede l'ulteriore requisito  della  titolarita'  del  permesso  di
lungo soggiorno ex art. 9 decreto legislativo n. 286 del 1998, con la
conseguenza che la prestazione puo' essere erogata solo ai  cittadini
extracomunitari,  che  ai  fini  dell'ottenimento  del  permesso   in
questione, abbiano dimostrato di disporre di un reddito non inferiore
all'importo annuo dell'assegno  sociale  e,  nel  caso  di  richiesta
relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i  parametri
indicati nell'art. 29, comma 3, lettera b) del decreto legislativo n.
286 del 1998, nonche' di un alloggio idoneo e  di  aver  superato  un
test di conoscenza della lingua italiana. 
    15. L'onere finanziario relativo all'erogazione  dell'assegno  e'
esclusivamente a  carico  dello  Stato  e,  come  afferma  fa  stessa
disposizione, la misura persegue  la  finalita'  di  «incentivare  la
natalita'» e di «contribuire alle spese per il suo sostegno». 
    16. A fronte  di  cio',  e  segnatamente  della  limitazione  dei
possibili beneficiari in ragione della fruizione di redditi modesti o
addirittura estremamente bassi, non pare seriamente dubitabile che si
tratti di misura soprattutto  tesa  al  sostegno  delle  famiglie  in
condizioni economiche non agiate (qualora non si superi il  tetto  di
25.000 euro annui) o addirittura in stato di bisogno  (per  l'ipotesi
di redditi non superiori a 7.000 euro annui). 
    17. Peraltro, l'art. 5 del decreto del Presidente  del  Consiglio
dei ministri 27 febbraio  2015,  emanato  per  dare  attuazione  alla
misura, prevede la decadenza dal beneficio in ragione della  perdita,
durante il triennio, dei requisiti economici posseduti al momento  di
presentazione della domanda, di decesso del figlio o di perdita della
responsabilita' genitoriale. 
    18. In altri termini  si  tratta  di  prestazione  di  assistenza
sociale di  contenuto  economico  realizzante  uno  degli  interventi
finalizzati alla valorizzazione ed al sostegno delle  responsabilita'
familiari,  cosi'  come  previsto,  in  applicazione   dei   principi
costituzionali fissati dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, dalla
legge n. 328 del 2000, all'art. 16. 
    19. La disposizione si caratterizza per l'adozione di un criterio
di selezione dei beneficiari affidato a ragioni di nazionalita' e  di
contemporanea  presenza  di  condizioni  economico-sociali  peculiari
compendiate nel rinvio all'art. 9 decreto legislativo n. 286 del 1998
- relative ai soli cittadini extracomunitari, essendo invece comuni a
cittadini  europei  ed  extracomunitari   gli   ulteriori   requisiti
dell'attualita' della residenza  in  Italia  e  della  percezione  di
redditi non superiori alle modeste soglie sopra indicate. 
    20. In sostanza, la fruizione dell'assegno risulta, per  testuale
previsione di legge e senza che possa  sperimentarsi  alcuna  diversa
interpretazione che  eviti  l'oggettiva  disparita'  di  trattamento,
esclusa nei confronti dei nati o degli adottati tra il primo  gennaio
2015 ed il 31 dicembre 2017 da genitori cittadini extracomunitari che
fruiscono di redditi non superiori ad euro 7.000 o  ad  euro  25.000,
sono legalmente residenti in Italia in base  ad  idoneo  permesso  di
soggiorno e lavoro, ma non risultano titolari del permesso  di  lungo
soggiornanti di cui all'art. 9 decreto legislativo n. 286 del 1998. 
    21. Inoltre, la disposizione in esame non si  raccorda  in  alcun
modo con la previsione contenuta nell'art. 41 del decreto legislativo
n. 286 del  1998  (disposizione  appartenente  all'insieme  di  norme
contenute nel testo unico che l'art. 1,  comma  4,  definisce  «norme
fondamentali di  riforma  economico-sociale  della  Repubblica»)  che
riconosce in linea  generale  parita'  di  trattamento,  rispetto  ai
cittadini italiani, in materia di  assistenza  sociale  ai  cittadini
extracomunitari titolari di permesso di soggiorno e di lavoro  validi
per almeno un anno. 
    22.  La  disposizione   suscita   il   dubbio   di   legittimita'
costituzionale per violazione dell'art. 3 della  Costituzione,  sotto
il profilo della irragionevolezza e della disparita' di  trattamento,
dell'art. 31 della Costituzione, dell'art.  117,  primo  comma  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli 20, 21, 24,  31
e 34 della Carta· dei diritti fondamentali dell'Unione europea. 
    23. Thema decidendum. I profili della questione sono i seguenti. 
    Quanto alla possibile violazione dell'art. 3 della  Costituzione,
pare in  contrasto  con  il  principio  di  ragionevolezza  prevedere
dapprima  -  e  correttamente  -  che  l'erogazione  dell'assegno  di
natalita' debba essere uguale a parita' di bisogno, e  poi  escludere
contraddittoriamente dalla medesima  prestazione  sociale,  rilevante
perche'  a  contenuto  economico,  intere  categorie   di   soggetti,
selezionati non in base all'entita' o alla natura del bisogno, ma  ad
un  criterio  privo  di  ogni  collegamento  con  questo,  quale   la
titolarita' del permesso di lungo soggiorno che presuppone una durata
pregressa della residenza almeno quinquennale,  un  reddito  comunque
almeno pari all'importo dell'assegno sociale, un alloggio idoneo e la
conoscenza   della   lingua   italiana:   determinando,   con   cio',
l'esclusione di  chi  si  trova  in  situazione  di  maggior  bisogno
rispetto a tale categoria e disparita' di trattamento tra  situazioni
identiche o  analoghe,  con  conseguente  lesione  del  principio  di
eguaglianza. 
    24.  La  Corte  costituzionale  ha  gia'   ritenuto   illegittime
disposizioni  simili  a  quella  denunciata,  sul  rilievo  che   una
disciplina del tipo considerato introduce un elemento di  distinzione
arbitrario, proprio perche' non vi e' alcuna ragionevole correlazione
tra la residenza protratta nel tempo e i requisiti di  bisogno  e  di
disagio della persona che costituiscono il presupposto di fruibilita'
di una provvidenza sociale (sentenza n. 40 del 2011). 
    25.  Peraltro,  si  tratta  di  prestazione  sociale  erogata  in
occasione della nascita di un figlio o della sua adozione, da  fruire
nell'arco di tre anni e, quindi, relativa a  bisogni  essenziali  del
nucleo familiare da soddisfare nei limiti di durata contenuta in tale
arco temporale e destinata a non essere piu' erogata nell'ipotesi  in
cui venga meno qualcuno dei presupposti necessari durante il  decorso
del  triennio.  Sia  avendo  riguardo  alla  funzione  di   incentivo
all'incremento demografico che alla funzione di  sostegno  economico,
non si comprende in che relazione possano stare tali finalita' con le
circostanze di vita pregressa che  costituiscono  i  presupposti  per
ottenere il permesso di lungo soggiorno di  cui  all'art.  9  decreto
legislativo n. 286/1998. 
    26. Ne' a giustificare la pretesa giovano  considerazioni  legate
alla particolare finalita' di incentivare la natalita' nel territorio
nazionale che  legittimerebbe  l'imposizione  della  titolarita'  del
permesso di lungo  soggiorno,  quale  dimostrazione  del  particolare
radicamento  del  richiedente  nel  territorio  nazionale.   Infatti,
sebbene il permesso di lungo soggiorno dimostri  tale  radicamento  e
lasci  presagire  un  progetto  di  continuita'  in  tal  senso,   e'
altrettanto vero che tali considerazioni  non  risultano  logicamente
correlate con l'assegno di natalita' di cui si discute,  che  non  ha
solo  funzione  di   incentivo   all'innalzamento   demografico   ma,
soprattutto, riveste il ruolo di sostegno economico, limitato solo al
primo triennio di vita del bambino o del suo inserimento in  famiglia
in caso di adozione, alle famiglie meno agiate  i  cui  bisogni  sono
immediati ed indifferibili e certamente poco influenzati dai progetti
di vita a lungo termine. 
    27. Non e', dunque, rilevante in questa sede quanto ha  affermato
la Corte costituzionale a proposito della legittimita' costituzionale
di misure definite «assegni di natalita'» istituite da talune regioni
e  che  non  avevano  nessuna  funzione  di  sostegno  alla  famiglie
bisognose perche' erogate a prescindere da  limiti  reddituali  (vedi
Corte  costituzionale  n.  222  del  2013  in  relazione  alla  legge
regionale Friuli-Venezia Giulia n. 16 del 2011, art. 3). 
    28. Anzi, va ricordato che Corte costituzionale n. 141 del  2014,
nel giudicare la conformita'  all'art.  3  della  Costituzione  della
legge regionale della Campania n. 4 del 2011, istitutiva di un «bonus
bebe'» erogato a prescindere dal reddito familiare e solo sulla  base
della residenza biennale sul territorio regionale, ha affermato:  «La
questione - che, con riguardo al cosiddetto  «bonus  bebe'»,  investe
propriamente il solo prescritto requisito della  permanenza  biennale
sul  territorio  regionale - non   e'   fondata,   poiche'   non   e'
irragionevole la previsione regionale che si  limiti  a  favorire  la
natalita' in correlazione alla presenza stabile del nucleo  familiare
sul territorio,  senza  che  vengano  in  rilievo  ulteriori  criteri
selettivi concernenti situazioni di bisogno o disagio,  i  quali  non
tollerano di  per  se'  discriminazioni  (cosi',  tra  le  altre,  le
sentenze n. 222, n. 178, n. 4 e n. 2 del 2013)». 
    29. Va aggiunta l'ulteriore considerazione che neppure  rilevano,
in senso contrario, valutazioni relative alla necessita' di  limitare
l'erogazione di prestazioni  di  natura  economica  eccedenti  quelle
essenziali in ragione della limitatezza  delle  risorse  disponibili,
posto  che  cio'  non  esclude   «che   le   scelte   connesse   alla
individuazione dei beneficiari necessariamente  da  circoscrivere  in
ragione della limitatezza delle risorse disponibili - debbano  essere
operate sempre e comunque in ossequio al principio di ragionevolezza»
come statuito da Corte costituzionale n. 40 del 2011  e  n.  432  del
2005. 
    30. A questo fine, la giurisprudenza  costituzionale,  sempre  in
materia di misure di assistenza sociale  da  garantire  ai  cittadini
extracomunitari in possesso di titoli  validi  di  soggiorno  ma  non
della carta  di  soggiorno,  ora  permesso  di  lungo  soggiorno,  ha
precisato  la  necessita'  che,  fermi  gli   ulteriori   presupposti
richiesti per la fruizione delle misure di assistenza sociale, «[...]
nell'ottica della  piu'  compatibile  integrazione  sociale  e  della
prevista equiparazione, per  scopi  assistenziali,  tra  cittadini  e
stranieri extracomunitari, di cui all'art. 41 del decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero) -  il  soggiorno  di  questi  ultimi  risulti,  oltre  che
regolare, non episodico ne' occasionate» (Corte costituzionale n. 230
del 2015). 
    31. Neppure le considerazioni svolte nella recente sentenza della
Corte  costituzionale  n.  50  del  2019,  in  tema  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge n.  388  del  2000
nella parte  in  cui  subordina  il  diritto  a  percepire  l'assegno
sociale, per gli stranieri extracomunitari,  alla  titolarita'  della
carta di soggiorno (ora  permesso  di  lungo  soggiorno)  pare  possa
risolvere il dubbio  di  costituzionalita'  relativo  alla  norma  in
esame. 
    Infatti, il  soddisfacimento  di  tale  condizione  per  il  solo
straniero extracomunitario e' stata  ritenuta  non  irragionevole  in
virtu' del fatto che l'assegno sociale e' misura che, rivolgendosi  a
chiunque  abbia  compiuto  sessantacinque  anni  di  eta',   persegue
finalita' peculiari e diverse rispetto a quelle proprie delle  misure
di assistenza legate a specifiche esigenze di  tutela  sociale  della
persona che  non  tollerano  discriminazioni,  come  nel  caso  delle
invalidita' psicofisiche. Ha,  in  particolare,  affermato  la  Corte
costituzionale, nella sentenza da  ultimo  citata,  che  «[...]  Tali
persone ottengono infatti, alle  soglie  dell'uscita  dal  mondo  del
lavoro, un sostegno da parte della collettivita'  nella  quale  hanno
operato (non a caso il legislatore esige in capo al cittadino  stesso
una  residenza  almeno  decennale  in  Italia),  che  e'   anche   un
corrispettivo  solidaristico  per  quanto  doverosamente  offerto  al
progresso  materiale  o  spirituale  della  societa'  (art.  4  della
Costituzione)». 
    32.  Il  profilo  di  irragionevolezza  appena  illustrato  e  la
disparita' di trattamento che ne consegue, in definitiva,  dovrebbero
condurre alla declaratoria di incostituzionalita'  -  per  violazione
dell'art. 3 della Costituzione - dell'art. l, comma 125, legge n. 190
del  2014,  nella  parte  in   cui   richiede   ai   soli   cittadini
extracomunitari ai fini  dell'erogazione  dell'assegno  di  natalita'
anche la titolarita' del permesso unico  di  soggiorno,  anziche'  la
titolarita' del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un  anno
in applicazione della disposizione generale  contenuta  nell'art.  41
decreto  legislativo  n.  286  del  1998,   norma   che   rappresenta
l'equilibrato bilanciamento tra il diritto  dell'extracomunitario  di
godere, a parita' di trattamento  con  i  cittadini  italiani,  delle
misure di assistenza sociale e il riscontro  di  una  presenza  dello
stesso non temporanea ne' episodica sul territorio nazionale. 
    33. Altro  profilo  di  denuncia,  conseguente  a  quello  appena
illustrato,  e'  quello  relativo  all'art.  31  della  Costituzione,
giacche' l'irragionevole  disparita'  di  trattamento  ai  danni  dei
cittadini extracomunitari prodotta dalla norma  denunciata  determina
anche l'effetto di violare i  diritti  protetti  dall'art.  31  della
Costituzione, in forza del  quale  la  Repubblica  si  fa  carico  di
agevolare con misure economiche ed altre  provvidenze  la  formazione
della famiglia e di proteggere la maternita' e l'infanzia. 
    34. E' evidente, infatti, che la richiesta della titolarita'  del
permesso di lungo soggiorno per l'erogazione di un sostegno economico
finalizzato  ad  incentivare  le  nascite  e  ad  alleviare  il  peso
economico del mantenimento del  nuovo  nato  impedisce  di  fatto  ed
irrimediabilmente la realizzazione della garanzia costituzionale  per
quelle famiglie e per quei figli in cui nessuno dei  genitori  e'  in
possesso del permesso di lungo soggiorno, pur  trovandosi  le  stesse
famiglie in modo non episodico o temporaneo a risiedere in territorio
nazionale e vivendo  nelle  medesime,  se  non  peggiori,  condizioni
economiche. 
    35. L'effetto, inevitabile, pare essere quello di negare per tali
nuclei  familiari  e  per  i  loro   nuovi   nati,   in   radice   ed
irrimediabilmente,  la  realizzazione  del  diritto   sancito   dalla
Costituzione, con  effetti  disgreganti  del  tessuto  sociale  della
nazione nel nucleo originario ed essenziale della famiglia. 
    36. L'art. 1, comma 125, legge n. 190  del  2014,  inoltre,  pare
violare  anche  l'art.  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  in
relazione  agli  articoli  20,  21,  23,  33   e   34   CDFUE,   che,
rispettivamente, enunciano il principio di uguaglianza ed il  divieto
di discriminazioni, anche per cittadinanza,  riconoscono  il  diritto
dei bambini «alla protezione e  alle  cure  necessarie  per  il  loro
benessere», garantiscono «la  protezione  della  famiglia  sul  piano
giuridico, economico e sociale» nonche' riconoscono  «il  diritto  di
accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e  ai  servizi  sociali
che assicurano protezione». 
    37. Il diniego dell'assegno di natalita' di cui all'art. 1, comma
125,  legge  n.  190  del  2014,   pare   integrare,   difatti,   una
discriminazione a causa della nazionalita', come  pure  espressamente
vietato  dall'art.  12,   lettera   e),   della   direttiva   2011/98
(applicabile ai cittadini di Paesi terzi, titolari del permesso unico
di soggiorno come gli odierni contro ricorrenti),  che  espressamente
prevede il diritto dei lavoratori di  cui  all'art.  3,  paragrafo  1
lettere b) e c), di beneficiare dello stesso trattamento riservato ai
cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne -
fra  l'altro  -  i  settori  della  sicurezza  sociale  definiti  nel
regolamento (CE) n. 883/2004. 
    38. In particolare, va ricordato che  la  giurisprudenza  europea
che ha avuto modo di esaminare la direttiva  in  questione  sotto  il
profilo dei diritti sociali  per  cui  va  garantita  la  parita'  di
trattamento (CGUE 21 giugno  2017  C-4491/2016)  ha  avuto  modo  di'
precisare  che  «[...]  la  distinzione   fra   prestazioni   escluse
dall'ambito di applicazione del regolamento n. 883/2004 e prestazioni
che vi rientrano e' basata essenzialmente sugli elementi  costitutivi
di ciascuna prestazione, in particolare sulle  sue  finalita'  e  sui
presupposti per la sua attribuzione, e non sul fatto che essa  sia  o
no qualificata come prestazione di sicurezza sociale da una normativa
nazionale (v., in tal senso, in particolare, sentenze del  16  luglio
1992, Hughes, C- 78/91, EU:C:1992:331, punto 14; del 20 gennaio 2005,
Noteboom, C- 101/04, EU:C:2005:51, punto 24, e del 24  ottobre  2013,
Lachheb, C- 177/12, EU:C:2013:689, punto 28).  Una  prestazione  puo'
essere considerata come una prestazione di sicurezza sociale  qualora
sia  attribuita  ai  beneficiari  prescindendo  da  ogni  valutazione
individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad
una situazione definita per legge, e si riferisca a  uno  dei  rischi
espressamente elencati nell'art. 3, paragrafo 1, del  regolamento  n.
883/2004 (v. in tal senso, in particolare,  sentenze  del  16  luglio
1992, Hughes, C- 78/91, EU:C:1992:331, punto 15; del 15  marzo  2001,
Offermanns,  C-  85/99,  EU:C:2001:166,  punto  28,  nonche'  del  19
settembre  2013,  Hliddal  e  Bornand,  C-  216/12   e   C-   217/12,
EU:C:2013:568, punto 48)». Inoltre, la stessa sentenza  ha  affermato
che «[...] l'espressione «compensare i carichi familiari» deve essere
interpretata nel senso che essa fa riferimento, in particolare, a  un
contributo pubblico al bilancio familiare, destinato ad alleviare gli
oneri derivanti  dal  mantenimento  dei  figli  (v.,  in  tal  senso,
sentenza del 19 settembre 2013, Hliddal e Bornand,  C-  216/12  e  C-
217/12, EU:C:2013:568, punto 55 e giurisprudenza ivi citata)». 
    Pertanto, la sentenza ha concluso affermando che l'art. 12  della
direttiva  2011/98  prevede  «[...]  un  diritto  alla   parita'   di
trattamento, che costituisce la regola generale, ed elenca le deroghe
a tale diritto che gli Stati membri hanno fa facolta'  di  istituire.
Tali deroghe possono dunque essere invocate solo qualora  gli  organi
competenti nello Stato membro interessato per  l'attuazione  di  tale
direttiva abbiano  chiaramente  espresso  l'intenzione  di  avvalersi
delle  stesse  (v.,  per  analogia,  sentenza  del  24  aprile  2012,
Kamberaj, C- 571/10, EU:C:2012:233, punti 86  e  87)»  e  che  «[...]
l'art. 12 della direttiva 2011/98 deve essere interpretato nel  senso
che esso asta a una  normativa  nazionale  come  quella  oggetto  del
procedimento principale, in base alla quale il cittadino di un  paese
terzo, titolare di un permesso unico ai sensi  dell'art.  2,  lettera
c), di tale direttiva, non puo' beneficiare di una  prestazione  come
l'ANF, istituito dalla legge n. 448/1998». 
    39.  Alle  argomentazioni  sin  qui  svolte  consegue  che   deve
dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 125, legge n. 190  del
2014, in relazione agli  articoli  3  della  Costituzione,  31  della
Costituzione e 117, primo comma, Cost. quest'ultimo in relazione agli
articoli 20, 21, 24, 31 e 34 della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000  e
adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, nella  parte  in  cui,  ai
fini dell'erogazione dell'assegno  di  natalita',  richiede  ai  soli
cittadini extracomunitari anche la titolarita' del permesso unico  di
soggiorno, anziche' la titolarita' del permesso di  soggiorno  e  di'
lavoro  per  almeno  un  anno,  in  applicazione  della  disposizione
generale contenuta nell'art. 41 decreto legislativo n. 286 del 1998. 
    A norma dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87,  va  dichiarata
la sospensione del presente procedimento con l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    La cancelleria provvedera' alla notifica di copia della  presente
ordinanza alle parti e al Presidente del  Consiglio  dei  ministri  e
alla comunicazione  della  stessa  ai  presidenti  della  Camera  dei
deputati e del Senato della Repubblica.